Ti sei mai chiesto perché alcuni riescono nella vita ed altri no o perché troviamo persone con abilità intellettuali, fisiche o tecniche straordinarie ed altri apparentemente sprovvisti? Probabilmente hai pensato che dipende da molti fattori. In genere il successo viene spiegato con fattori favorevoli: una famiglia d’origine facoltosa, un contesto sociale facilitante, delle spintarelle da parte di amici, qualche bustarella per salire sul trampolino, la possibilità di studiare e dei genitori amorevoli. Altri credono che dipenda dalla costituzione che si ha sin dalla nascita. O ancora di presume derivi dal carattere, da una personalità forte oppure debole a seconda del risultato. Oppure è una questione di fortuna o anche del puro caso!
E se ti dicessi che non è niente di tutto questo?! Certo, avere una situazione privilegiata, possedere denaro e avere la strada sgombra da ostacoli facilita le cose, almeno in partenza! Ma non sono questi fattori ad essere il motore del talento e del successo.
Le più grandi virtù, i maggiori successi, le più straordinarie scoperte vengono raggiunte attraverso delle risorse interiori che si manifestano con la volontà. Il vero catalizzatore, l’ingrediente miracoloso è l’idea: l’idea che si ha di se stessi, del mondo, delle circostanze, delle difficoltà, degli ostacoli, delle proprie capacità e possibilità, l’idea di riuscire o fallire.
Non basta nascere nel superattico ed avere una servitù ai tuoi comandi per riuscire, non è sufficiente avere una laurea da 110 e lode, possedere una Cadillac, avere genitori miliardari e godere della deferenza di una moltitudine per generare talento. Se non si ha la convinzione di essere capaci, la certezza di poter affrontare gli ostacoli e superarli, la persuasione di voler andare oltre ai confini esigui della propria natura imperfetta, ogni provvidenza risulta inutile e destinata ad appassire. Inversamente, non è sufficiente essere poveri, affamati, osteggiati dalla comunità, declassati, impediti nello studio e vivere in un quartiere malfamato per fallire nella vita o per non riuscire a mostrare delle qualità straordinarie.
Ovviamente, per afferrare questo punto fondamentale è necessario prendere le distanze dalla realtà quotidiana dove possiamo assistere alle equazioni povertà/fallimento, ricchezza/successo. E siccome è una specie di costante supponiamo che le cose funzionino in questo modo. Ma questo accade perché le persone credono esattamente al fatalismo della loro circostanza di partenza: è l’idea che abbiamo sulla nostra situazione a generare le condizioni successive. Facciamo avverare una profezia stipulata e vidimata nella nostra testa. E così se fallisco posso sempre dire che non è colpa mia perché non ho potuto studiare, ero povero, mi sono mancate le necessità primarie, la gente non ha visto le mie qualità e i miei genitori mi hanno bloccato.
No! Falliamo perché crediamo di non aver il potere di slegarci dalla morsa del contesto, di non avere la possibilità, di non possedere certi vantaggi che sono stati invece donati ad altri. Ma questa convinzione è, a ben guardare, un’idea, un qualcosa che avviene dentro di noi, che non si colloca nel mondo esterno, nelle circostanze sfavorevoli o nella sfortuna. L’idea è un pensiero, una convinzione, una certezza che si materializza prendendo forma nel mondo reale, l’idea è il più potente strumento di concretizzazione della realtà!
“Un uomo finisce col diventare ciò che pensa di essere” scrisse Mohandas Gandhi (Gandhi per la pace – Feltrinelli)
Il sistema influenza e domina i pensieri dei deboli, di chi non ha un’idea propria o di chi necessita dell’approvazione del sistema stesso. Ma per alcuni individui è il sistema ad essere debole e non c’è nulla che possa governare le loro scelte. Ci sono persone che non si sono fermati di fronte alle circostanze sfavorevoli, alle prove e ai muri.
Tra i molti esempi di persone che hanno mostrato doti strordinarie pur non avendo beneficiato di sconti dalla vita o facilitazioni sociali, accademiche o culturali, vi parlerò di Hamilton Naki, un sudafricano nero defunto nel maggio 2005 a 78 anni. Naki fu uno dei più abili chirugi mai esistiti. Fu lui a svolgere il primo trapianto di cuore nel 1967 a Louis Washkanky a Città del Capo. A quel tempo la tecnologia medica non era avanzata come ai nostri tempi, tuttavia l’intervento riuscì perfettamente. Ma nessuno lo seppe, perché in Sudafrica la discriminazione razziale con l’apartheid non permetteva ad un negro di occupare una tale posizione sociale. Così il merito fu attribuito a Christian Barnard, il chirurgo capo del gruppo, di pelle bianca! Naki non compariva mai nelle foto dell’equipe medica.
Come giunse Hamilton Naki al suo virtuosismo chirurgico?
Egli nacque e visse, come la maggioranza della popolazione nera, in una catapecchia senza luce nè acqua corrente, in un ghetto della periferia. La sua situazione economica non gli permise di studiare perciò abbandonò la scuola all’età di 14 anni. Quindi non frequentò né le scuole superiori né tanto meno l’università di medicina. Nessun diploma, nessuna laurea! Quello che fece Naki fu invece di interssarsi alla lettura ed essere assunto come giardiniere nella Scuola di Medicina di Città del Capo. Iniziò pulendo le aule. Tuttavia la sua passione per la medicina e la sua sete di conoscenza lo portarono ad apprendere rapidamente la tecnica chirurgica osservando i medici bianchi praticare il trapianto su cani e maiali.
Cominciò anche lui ad usare il bisturi finché sviluppò un’abilità così inconsueta da
diventare un chirurgo eccezionale. Il Dr. Barnard se ne accorse e lo volle tra i membri della sua equipe. Ma ciò costituiva un problema per le leggi razziali del Sudafrica: Naki, negro, non poteva operare pazienti nè toccare il sangue dei bianchi. L’ospedale decise di fare un’eccezione e trasformò Naki in chirurgo clandestino e come tale non appariva da nessuna parte come protagonista dei suoi interventi
Era senza dubbio il migliore, tanto da elargire le sue conoscenze agli studenti bianchi di medicina durante lezioni vere e proprie. Tuttavia lavorava sottobanco e aveva il salario di un tecnico di laboratorio: il massimo che un ospedale poteva pagare ad un negro.
Hamilton Naki insegnò chirurgia per 40 anni ed andò in pensione come giardiniere, con un mensile di ben 275 dollari.
Soltanto con il termine degli orrori dell’apartheid i meriti di Naki furono riconosciuti con una decorazione ed il titolo di medico honoris causa consegnatagli nel 2003.
Ma cosa portarono Hamilton Naki ad andare oltre ogni ostacolo, a sopportare ogni forma di ingiustizia, di superare l’umiliazione, a diventare un illustre medico non avendo nessuna carta sociale da giocarsi? Fu la sua idea di partenza: l’idea che poteva riuscirci, l’idea che poteva sopportare l’ingiustizia e procedere senza mai arretrare. Le idee sono potenti quando ci crediamo davvero! Le idee trasformano gli ostacoli in opportunità!
“La ferma convinzione di riuscire è più importante di qualsiasi altra cosa”. Abramo Lincoln
Da Naki possiamo imparare che se vogliamo trasformare il nostro destino realizzando i nostri sogni e le nostre aspirazioni, dobbiamo cambiare l’idea limitante che coltiviamo dentro di noi. Il talento, la capacità e l’esito positivo sono legati ad un’idea potente, un idea trasformazionale capace di cambiare la realtà e fare avverare ciò che le nostre risorse consentono.
Come si fa a creare questa idea interiore? A questa domanda troverai una risposta più concreta accettando di metterti in gioco. Vai sugli eventi del sito strategiedellamente e scegli un corso di intelligenza emotiva. Impara anche tu come generare le idee che trasformano il futuro.
Articolo a cura di Florian Cortese
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