La “Depressione”: cosa fare?

Le statistiche epidemiologiche indicano che la depressione colpisce oltre il 40 % delle persone, (dati in continua crescita), interessando le donne con una percentuale di circa tre volte superiore agli uomini. Il tasso di maggiore prevalenza della depressione nella donna rispetto all’uomo si rileva in crescita dalla prima adolescenza. Inoltre gli anziani ne sono fortemente colpiti. Oggi esiste perfino rami della psichiatria che curano la depressione di gatti e cani. Insomma sembra che la depressione non escluda nessuno ad eccezione dei neonati e le tartarughe delle Galapagos.

La conseguenza è che dal punto di vista della spesa terapeutica, i disturbi psichiatrici come la depressione unipolare, i disordini da panico, la depressione bipolare, la schizofrenia, la demenza e l’insonnia si aggiudicano complessivamente il quarto posto a livello mondiale!
In altre parole il Big Pharma (l’impero delle multinazionali farmaceutiche) sembra arricchirsi in buona parte grazie alla sindrome depressiva.
Ovviamente, questi dati sono di scarsa rilevanza per chi soffre di depressione e ne vorrebbe uscire. Tuttavia, la soluzione al problema, se veramente la si vuole, richiede che si faccia un salto di consapevolezza sulla vera natura di questo disturbo. Le cure attualmente adottate per tutte le forme di depressione sono gli psicofarmaci. Va sottolineato che uno psicofarmaco è una molecola che supera la barriera ematoencefalica (un filtro che protegge il tessuto cerebrale da elementi nocivi) agendo sul sistema nervoso e modificando la chimica dei neuroni. Quindi gli psicofarmaci costringono i neuroni aa avere una funzione differente. Questo avviene attraverso la modificazione dei valori dei neurotrasmettitori (le sostanze chimiche che permettono la comunicazione del nostro cervello). Naturalmente uno psicofarmaco troverebbe legittimazione se trovassimo un difetto a livello cerebrale, cioè se di fatto il cervello avesse una malattia. Eppure, esiste un acceso dibattito su questa eventualità perché, diversamente dalle malattie come l’Alzheimer dov’è possibile evidenziare un quadro clinico nel cervello, la stessa cosa non sembra affatto possibile nel caso della depressione e di una miriade di altri disturbi di cui la psichiatria si occupa con i suoi cocktail psicofarmacologici.

In altre parole, viene corretta la chimica del cervello laddove il cervello non mostra nessuna alterazione della sua chimica originale.

Quello che viene chiamato comunemente “depressione” è un errore grammaticale ancor  prima che epistemologico. In effetti la cosiddetta “depressione” è un quadro di cui non si conosce la causa. Dacché in medicina è necessario usare un sostantivo che è sindrome”. La sindrome indica che esistono un concorso di sintomi di cui non si conosce l’origine. Perciò bisognerebbe chiamarla “Sindrome depressiva”. In tal caso il secondo termine “depressivo” è l’aggettivo qualificativo. Se però viene ristretto al solo termine “depressione” allora l’aggettivo qualificativo diventa un sostantivo. In medicina, l’uso del solo sostantivo (l’etichetta) significa che si conosce la causa.

Es: nel “morbillo” si usa tale sostantivo perché sappiamo che la causa è il virus Paramyxovirus. Il fatto di conoscere la causa permette alla medicina di intervenire con una cura mirata. Ma se non conoscessimo la causa, nessuna cura potrebbe essere efficace girando a vuoto su ipotesi e congetture.
Perciò, nei disturbi mentali che include la sindrome depressiva, la psichiatria ha deciso di trattare una sindrome senza cause note come se fosse una patologia con cause note. Così lo psicofarmaco è tecnicamente e legalmente giustificato sebbene quest’ultimo colpisca aree del cervello che non mostrano segni di degrado o di disfunzioni. È come se decidessimo di curare una gastrite con un antibiotico supponendo che qualcosa centri.

Il fatto che gli psicofarmaci diano talvolta sensazioni di miglioramento non va confuso come un segno di guarigione. Lo psicofarmaco è una sostanza psicotropa che è in grado di costringere il cervello a percepire diversamente. ma non c’è nulla di cui meravigliarsi: anche l’eroina, la cocaina o le anfetamine sortiscono lo stesso effetto, eppure nessuno si sognerebbe mai di dire che l’effetto delle droghe dimostra la guarigione. Fatto interessante è che il termine farmaco deriva dal greco farmacòn e, oltre a significare “medicinale” significa anche “droga”. Psico-farmacòn: droga della psiche.

Ci sono dei medici, i medici della mente, che quando hanno trovato un nome pensano di aver trovato una malattia e, in forza del nome, di poterla anche curare
Immanuel Kant

Ma cos’è dunque la depressione?
Non troverai mai una definizione univoca. Se vuoi capirlo non ti rimane che usare le tue facoltà di ragionamento logico. Da ciò che ho riportato è già possibile intravvedere una trama finalizzata al commercio più che alla comprensione.

Tutto sommato, il fatto che si tratta di una sindrome che include emozioni e stati d’animo negativi non significa affatto che il cervello sia malato. E infatti, non esiste uno straccio di dimostrazione o di prova tangibile che il cervello sia affetto da qualche patologia o da qualche disfunzione.
I diversi sintomi che si presentano, per quanto dolorosi, sono normali emozioni che qualunque essere umano può sperimentare. Sentirsi derealizzati, vuoti, senza motivazione e obiettivi, tristi, o soli non sono patologie. Altrimenti siamo costretti ad affermare che l’infelicità è una malattia. L’infelicità è il prodotto di significati che diamo all’esistenza, agli accadimenti, a ciò che ci circonda. Nella vita possiamo enfatizzare certi eventi dando un valore troppo elevato a fatti e cose o persone. Quando questi vengono a mancare, possiamo sentirci privati di qualcosa di indispensabile così il terreno sotto i piedi sembra cedere. Ma non è una malattia del cervello, è un modo di sentire la vita, discutibile se vogliamo, ma pur sempre rientrante nel normale funzionamento del cervello.

Se il coniuge viene a mancare, la sofferenza e la sua durata dipendono dal valore attribuito al partner e alla percezione della continuazione senza quest’ultimo. Se credo di non farcela da solo, se pensavo che il partner fosse la mia stessa vita, la sofferenza sarà più debilitante. Le possibilità sono infinite. Una persona può deprimersi dopo il parto, dopo la pensione o perché è solo o perché si sente inadeguato o senza mete. Ma tutti questi fatti rientrano nelle normali possibilità di sperimentazione umana.
Ciò che le trasforma in patologie per la psichiatria è il fattore tempo. Se durano troppo allora siamo di fronte non più alla “normalità” (cioè alla norma sociale), ma ad una disfunzione del cervello. E perché mai dovrebbe essere così? Una persona può coltivare un significato errato per tutta la vita senza diventare per questo un malato mentale. Un nazista può coltivare l’idea dell’egemonia ariana e dell’inferiorità delle altre razze per tutta la vita, e così, sperimentare odio perenne. L’idea è sbagliata, ma ciò non conferisce alcuna caratteristica patologica. Possiamo dissentire sul piano logico o morale, ma etichettare l’individuo malato solo perché promuove un pensiero “fuori norma” o fortemente criticabile non appare razionalmente accettabile. A guardare bene, è troppo facile vedere malato colui che pensa o fa cose che si distanziano dai nostri criteri di giudizio sociali o personali. Malato è colui che mostra evidenti segni di degrado sul piano oggettivo. Il degrado morale, le idee impertinenti, pensare al suicidio, piangere spesso, lamentarsi in continuazione, concentrarsi in modo ossessivo a fatti negativi, essere pessimisti o allarmisti sono possibilità che la mente può generare a partire da convinzioni errate o di scarso valore funzionale. NON SONO MALATTIE!!!

La soluzione definitiva della sindrome depressiva non può risiedere nella terapia chimica o strumentale (vedi l’elettroshock, tecnica disumana praticata ancora oggi in Italia). La soluzione risiede in un cambio delle prospettive mentali, nel cambio dei valori e dei significati che diamo all’esistenza (lo psicofarmaco non cambia i nostri valori, semmai li altera finché si perde la normale capacità di pensare – vedi effetti indesiderati scritti sul foglio illustrativo di ciascun medicinale).
In ultima analisi, la sindrome depressiva non va curata, ma l’uomo che la manifesta va capito e orientato verso coordinate più costruttive e produttive. Allora assisteremo non alla guarigione, perché non era di una malattia che si trattava, ma alla riappropriazione della propria vita con l’uso di quelle risorse che ciascuno possiede ma pochi utilizzano.

Compito di ciascuno, specie di chi è infelice e quindi afflitto (definito erroneamente depresso), è recuperare queste risorse interiori e metterli a frutto con delle strategie specifiche.

Nel calendario degli eventi di strategiedellamente troverai corsi che si propongono l’obiettivo di migliorare la propria esistenza sfruttando adeguatamente il nostro potenziale sopito (vedi l’intelligenza emotiva).

Articolo a cura di Florian Cortese

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